sabato 23 febbraio 2013

Le poesie di Alba Gnazi



Alba Gnazi è nata nel 1974, insegnante. Ha iniziato a scrivere molto presto e di nascosto finché, per un intreccio di casualità non sempre fortuite, ha iniziato a proporre i suoi pezzi a giornali e siti letterari e partecipare a concorsi di diverso tipo con poesie e racconti, alcuni dei quali presenti in varie antologie. Ha pubblicato un breve libro di narrativa nel 2010. 

Alba Gnazi scrive ascoltando musica e corregge nel più completo silenzio. Tendente all'introspezione e all'analisi, i ritmi e i contenuti delle poesie variano anche di molto. Ricerca la Musica, ovunque: soprattutto quando scrive. Ricerca, inoltre, significanti che acquisiscano le forme che desidera, spesso sperimentando. 


* * * 


Pomeriggio d’estate

Nel canto scemato
Macchiato di mormorii
Nel riflesso di fosche maree
Di pensiero
Nel ronzio morente, tra i
saliscendi dell’afa,
Di insetti arsi in
Venefica aria
Nella partitura discorde
Di discromiche voci
Pullulanti tra bagliori disformi
Il fiore sporgente dal muro
Ha capito tutto
Ancor prima di me.


* * *  


Scendo alla prossima


Sfiorisce il binario
Lungo terrestri scie
Tra binomi di pali e taverne di fronde

Scostante il rullio sotto le piante dei piedi
Che calpestano
Un ondeggiante clangore
Un raschiante borbottio.

È lenta la marcia del rumore
Rimbalzante, in cacofonia, contro
Oblò graffiti di viola
È oscena la litania delle risa
Che assalta le orecchie stanche e
Frammenta il pensiero in rivoli d’irritazione.

Sopito passeggero color doppiopetto
Il tuo monologante ego
Fu perdonato dal tuo lieve russare?

Riflessi d’un’ibrida luce colano
Alla mezza d’un giorno spurio di Tempo.

Sull’incrocio di ponti sospesi
Alle falde di inedite, incolumi nubi
Fresche di cielo
Costruisco il mio sguardo e
Mi sovviene che
Adesso sei morto
Sei interamente morto
Sei morto fino a stasera, quando
Sbriciolerò il pane d’una insipida malinconia

Sei sordo, cupo e
Morto
E
Mi srotoli nell’indispensabile, meravigliosa
Inanità del Vivere
Che frastaglia e disturba
Il mio andare.
Sei morto, sguaiato, indisponente, assolato,
Morto.

‘’Ferma a tutte le stazioni’’.
Raccolgo la sacca, il corpo, una
Scheggia di cuore
E sosto
Basculando
Davanti alle porte scorrevoli
Smarrita
Stanca
Viva.


* * * 


Omnia Nihil


Come ci si sente
Quando
Ci si sente
Come se dentro
si avesse
Niente
Come se tutto
Odorasse di
Niente
Come se
Niente
Cementasse nuovi Niente?

Come si cade
Se
All’indietro si cade
E sul graffio della Terra
Il corpo fortemente stride
E all’urlo della Terra
Il corpo mestamente ride?

Convulso il Cielo incolume
Dall’alto non s’avvede
Ch’i figli suoi ribelli
Insozzano le strade
Di aria e passi tiepidi
Di peli e forme rade.

Avvinti al giogo cremisi
Da altri
Altrove forgiato
Intubati in una
Paralisi
Strappiamo nuvole, inspirando fiato
Che lurido s’incrosta
Sul già detto
Sul già pensato :
Il Cielo scorre oltre
Scuotendo il cobalto capo.

Al Niente non occorre rimedio
Perché mai fu infettato
Dall’umano afrore,
rancido
di libido, noia, peccato,

Malsana stirpe ch’ha nel
Panico radici
ch’è risulta
di
semenze profane
d’Orrore ha gelido
il fiato.

I pallidi prati su cui
Il Grecale tramonta
Raschian via
Costernati insulti
Al Viandante orbo
Al Cielo distratto
Alla Terra umida d’infeconde
Larve, già
Remote sapienze,

Di desideri lontani,

Di un taciturno,
onnivoro Niente.


* * *  


Marinaio


Marinaio
infila in tasca quel che avanza
della salsedine
Dei porti stipa
nella sacca l’odore
mentre
del faro l’occhio bianco
Al petto appunti

Trattieni sulla lingua
lo sfrigolio rosso
del risveglio all’alba
Annoda alla cintola
la danza policroma
dei dialetti e dei mercati

Telegrafa il colore, fischia il messaggio
delle corolle e delle sottane
tra
vicoli e porte chiuse

Spremi i sestanti sopravento dei
natali senza candele
delle cambuse senza sirene
delle bestemmie e dei fortunali
Catrame di memoria per chi
a terra non ti sa
o ti dimentica
nelle derive degli alisei.


* * * 


Libri

Libri nascosti dai muri
spessi di freddo e dita sporche
Libri impallinati dai tarli,
cincischiati dalla polvere, annoiati di sole
Libri soffocati dall’urlo d’un titolo sbiadito
Prigionieri di vizi e moscini,
di lagnanze e corolle secche,
di dediche spurie, di alitosi e sciatti padroni
Vittime
Della caricatura dell’ammasso
Dello sfogliare irato
Di penne lussuriose
E caffè sbrodato

Aspettano
Sussurrano
Lo spazio attorno plasmano
con echi senza bordi le anime plasmano
In silenzio, dimenticati, le anime corrodono
ghignando voluttuosi le anime denudano
Spartiscono, immobili, le rughe tra la fronte
Agghindano le pareti di delusioni e volontà
Per sempre rapiscono chi a loro s’aggrappa
e quieti, furiosi, ululanti, maestosi
sovrastano sonni e progetti
Sovra-stanno, inimmaginati,
alle fetide fragilità del tempo
e lividi della loro malia
tacciono, sonnecchiano, sbirciano,
e tutto ovunque cambiano. 


* * * 



3 commenti:

  1. Versi in cui si avverte la forte istanza innovativa. Consapevole la scelta di una poesia meno "alta", più vicina al ritmo della prosa nella sua apparenza formale , ma nello stesso tempo forte di una sua musicalità nella scelta dei toni e nella sapiente misura del verso. I contenuti sono graffianti, corrosivi di presunte certezze, in un mondo senza sicurezze e avaro di risposte : " Al niente non occorre rimedio...", " E sul graffio della Terra/ il corpo fortemente stride..." Una lettura gradevole e interessante per forma e varietà di contenuti.

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  2. Complimenti Alba, concordo con il pensiero di Aurora. Sonia Lambertini

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